Introduzione di Matteo Cappè

È un onore e un piacere ospitare sulle pagine di BiciLive.it Mario Ciaccia, conosciuto con il soprannome di Muz.

Personalmente sento il dovere di presentare Mario prima di lasciarvi ai suoi racconti. È grazie a lui se ho intrapreso la carriera di fotografo e, in parte, è sempre per la sua influenza se sto lavorando nell’editoria.

È stato infatti Mario nel 2003 a chiedermi di realizzare il primo articolo (foto e testo) per la rivista TuttoMountainbike ed è sempre stato Mario ad avermi fatto venir voglia di scrivere i primi articoli, correggendo i miei mille refusi…

Da lì è iniziata la mia esperienza all’interno della redazione del magazine TuttoMtb, che è durata quasi 10 anni. Mario ha avuto una grande influenza sulle scelte che mi hanno portato a seguire una strada professionale che, nel 2013, ha contribuito alla nascita di BiciLive.it.

Mario è un giornalista, un appassionato, un amante delle esperienze in sella e soprattutto della compagnia di amici che condividano questa stessa passione a cui lui non vuol proprio rinunciare.

Di recente ha acquistato la sua prima e-mtb e abbiamo deciso di proporre una sua intervista perché siamo dell’idea che possa essere una fonte di ispirazione per molte altre persone.

foto di mario ciaccia e la sua ebike full da 120 mm

Mario Ciaccia, in arte “Muz”, con la sua ultima bici: una ebike biammortizzata che usa anche per andare al lavoro.

Mario Ciaccia: l’ebike per continuare a pedalare sui passi alpini

Mi piacerebbe fare un monumento all’inventore della pedalata assistita (se ho capito bene è stato un giapponese, a metà anni 80).

A chiunque sarebbe venuto in mente di limitarsi a una bici con motore elettrico e potenziometro simile all’acceleratore della moto, dove non serve pedalare.

Ma l’idea di azionare il motore solo tramite la pedalata… geniale, davvero, specie se in presenza del sensore di sforzo e non di rotazione. Pedali con la sensazione di essere in grande forma: è un inganno che rende felici.

Io sono uno di quelli che ha deciso di fare il grande salto e passare alla ebike, dopo avere speso anni ad osservarla con curiosità e diffidenza.

A me piacciono gli sport dove devi addomesticare la fatica, ma certe salite non riesco più a farle, pur avendone voglia. I limiti del mio fisico hanno superato la forza della mente.

foto di mario ciaccia da giovane

Sono nato e vissuto a Milano, ma ho i parenti a Pesaro. Tra il 1978 e il 1983 ho pedalato sulle strade collinari di quella città, su percorsi al massimo di 60 km, senza fare troppa fatica pur usando bici sbagliate, con zero o poche marce: Grazielle, bici da città… A quell’età è incredibile come si riesca a pedalare in salita senza sforzo, senza allenamento, senza esperienza mentale… Me ne sto accorgendo anche oggi, osservando i miei figli. In foto, io sono il primo da sinistra, poi c’è mio fratello Piero e quindi mio cugino Giovanni. Oggi i due considerano la ebike un’aberrazione, ma ammettono che sia utile per mantenere unito un gruppo nato quasi 40 anni fa, i cui componenti sono invecchiati in maniera diversa.

Verso la bicicletta ho sempre provato un rapporto di amore e odio. Amore perché la considero un prolungamento del nostro corpo, una cosa buona che permette di fare viaggi bellissimi facendoci sentire delle persone migliori.

Odio perché lo sforzo mentale e fisico che richiede è enorme, specie se punti sempre a percorsi prossimi al tuo limite. Fai 1.500 m di dislivello? La volta dopo ti senti obbligato a farne 1.700. Per lo meno, è così che la vivevo io.

Questo genere di droga lo provai già a 12 anni, nel 1978, quando mi capitò di pedalare da solo, in costume da bagno, su una Graziella, in giro per la città di Pesaro e mi ritrovai ai piedi di una lunga salita: era quella della Panoramica del San Bartolo, nota al giorno d’oggi per essere stata percorsa dal Giro d’Italia e da Valentino Rossi quando gareggiava in scooter con gli amici, prima di diventare famoso.

La Panoramica è un percorso a saliscendi di 28 km che collega Pesaro a Cattolica, ma io non lo sapevo. Venni attratto da quella salita, arrivai in cima, vidi che proseguiva in discesa, feci pure quella, ricominciò la salita…

Ero stanchissimo, non avevo mai fatto una cosa simile, ero pieno di dolori, in più sapevo che i miei genitori si sarebbero accorti della mia assenza ma, ogni volta che la strada cambiava pendenza e intravedevo nuovi scorci paesaggistici, non riuscivo a resistere dal proseguire.

Smisi solo quando arrivai a Cattolica; e, a quel punto, i miei genitori avevano già allertato i Carabinieri. Quando ti succedono queste cose, non puoi farci molto. Ami ed odi la bicicletta nello stesso tempo.

foto di mario ciaccia nel 1991 in sella a una mtb sul monte generoso.

Gli anni 90 sono stati stupendi. Il fisico era a posto, le novità tecniche erano appassionanti, eravamo sempre in sella… Chissà come avremmo preso il boom delle ebike, se fosse esploso allora? Già eravamo intolleranti nei confronti delle moto da enduro bicilindriche, figuriamoci con le ebike… Foto Michele Schiannini.

Ho cominciato ad andare in bicicletta nei tempi in cui la gente pensava che le mountain bike fossero “le bici che non si fa fatica”. Oggi, al contrario, siamo nell’epoca della casalinga che vede una fat bike e pensa che, con quei ruotoni, si faccia una fatica mostruosa.

Ho comprato la prima mountain bike nel 1988 e ho avuto modo di vedere tutta l’evoluzione di questo sport, compresa la nascita e la morte di accessori che non hanno preso piede, come la quadrupla moltiplica anteriore, i freni cantilever con l’ABS, la molla per far tornare su la sella, lo spallaccio per il portage, il doppio freno a U posteriore, l’unified rear triangle, l’elastomero con smorzamento idraulico, i drop bar usati nella downhill, ecc. Oggi siamo alla pedalata assistita e mi sa che non sparirà dalla scena come quei cosi lì.

Sono redattore in una rivista di moto, Motociclismo FUORIstrada, ma prima ero della rivista Tutto MountainBike, purtroppo defunta.

In moto ho raggiunto posti pazzeschi: le dune del Murzuk e dell’Akakus in Libia, il ghiacciaio del Perito Moreno, passi alpini a 3.000 m, passi himalaiani a 4.000 m, passi andini a 5.000 m, la giungla australiana e tanti altri.

Ma non ho mai provato la gioia totale ed assoluta che mi ha dato la bicicletta ad ogni meta raggiunta.

foto di mario ciaccia in mtb sul passo del bernina

Altra attività che ci ha sempre entusiasmato, affrontare i passi alpini aperti d’inverno con la bici e la tenda (in foto il Bernina). Ma con la ebike la cosa diventa molto difficile: sia per l’impossibilità a ricaricare le batterie di notte, sia per il freddo che ne riduce la durata. Eppure lo voglio fare e troverò la maniera. Foto Marco Torricelli.

Per me la moto è divertimento estremo e paesaggi facili da raggiungere. La bici è più viscerale, è una cosa a cui volere bene, da tenersi in camera da letto, da accarezzare quando le passi accanto. È uno strumento meccanico il cui propulsore siamo noi stessi… e ho detto tutto.

Ma, mentre la moto mi procura sempre un grande piacere, la bicicletta la vivo soprattutto come esplosione di gioia dopo una grande sofferenza. Non è così anche l’eroina?

La moto mi piace anche sotto la pioggia, sotto la neve e in autostrada. La bici invece ha dei brevi picchi di piacere assoluto, superiori a quelli della moto, al prezzo di lunghe fasi di sofferenza. Soffro per tanti motivi: non solo le crisi di fame, i colpi di calore, i crampi, gli strappi alla schiena o il finire le energie su una salita superiore alle mie forze.

La soffro anche quando sono in pianura controvento, quando sono in un gruppo che mi lascia indietro o quando sono all’inizio di una lunga salita e la consapevolezza di quanto manca mi deprime. E la odio tantissimo quando sono in ritardo e mi tocca pedalare a manetta guardando l’orologio.

La pedalata assistita aiuta a ridurre queste fasi stressanti, oltre a permettere di superare pendenze superiori. Però introduce altri tipi di stress: il timore di un guasto al motore e l’ansia costante nel guardare le tacchette della batteria che si esauriscono.

foto di mario ciaccia a Ostenda, 1993. L’arrivo al Mare del Nord

Ostenda, 1993. L’arrivo al Mare del Nord.

Ricordo benissimo due momenti di un viaggio in bicicletta del 1993, da Milano a Ostenda e ritorno: io e mio fratello eravamo partiti da Milano, avevamo passato il Simplonpass (Passo del Sempione) e poi s’era messo a piovere mentre scalavamo il Grimselpass. Aveva continuato a piovere anche sulla salita del Ballon d’Alsace e poi lungo tutta la regione collinare verso il Belgio. Eravamo sempre fradici e sempre infreddoliti.

Sulle Alpi, ogni salita c’era costata un grande impegno psicologico per farla con bici pesanti 40 kg (ci portavamo dietro tutto: tenda, sacco a pelo, ricambi, viveri). Dopo le Alpi, avevamo sempre il vento contro e la strada, una volta superati i Vosgi, era diventata un continuo saliscendi, salite inutili, senza gloria.

Arrivati a Luxembourg, in un parco della capitale, stavamo mangiando patatine fritte ed ero depresso. Non mi divertivo. A quel punto arrivò una coppia di fidanzati milanesi in moto. Avevano le tute antipioggia e completi imbottiti, erano sereni, chiacchieravano felici e li invidiavo in maniera feroce. Li vidi mangiare un panino e poi rimettersi in sella e ripartire, senza sforzo, asciutti. Mi sentii il bambino povero e affamato che guarda quello ricco fare merenda sotto alla veranda di una villa.

Qualche giorno dopo vedemmo il Mare del Nord dalla spiaggia di Ostenda. Ci eravamo arrivati da Milano. La soddisfazione era mostruosa, il mio petto era bombato come quello di un pollo e stavo per esplodere dalla gioia. Venire qua in moto? No, non mi avrebbe dato questa soddisfazione. Non li invidiavo più, quei milanesi. Capite perché parlo di amore e odio?

foto di mario ciaccia in spagna in bici nel 1992

Oltre alla guida sui sentieri di montagna ci piacevano le grandi traversate europee, da fare su asfalto, con la tenda, in totale autosufficienza. Qui siamo in Spagna, 1992, stiamo scendendo dai Pirenei verso l’Atlantico. Oggi mi domando come si potrebbero fare questi viaggi con le ebike: con due batterie si potrebbero percorrere 140 km al giorno, ma come le potrei ricaricare facendo il campeggio libero che mi piace tanto? Foto Annalisa Gentile.

Già in quel periodo sognavo che inventassero un nuovo sistema di trasmissione che avesse un rendimento nettamente superiore alla solita catena con pedali e ingranaggi. Un qualcosa di meccanico che ti facesse fare le salite a 15 km/h con lo stesso sforzo con cui salivo a 5 km/h con la mia bici stracarica.

Quando sono uscite le prime mtb a pedalata assistita ho subito avuto quel pensiero: ecco un modo per fare più chilometri a parità di sforzo.

Fin da subito c’è stata una divisione, tra gli appassionati, verso queste biciclette. I puristi dello sforzo dicono che usare una ebike non è fare ciclismo, ma andare in moto. Sul fronte opposto abbiamo quelli che vogliono andare in bici ma senza fare fatica.

foto di un ciclista nella neve con mtb in spalla

La più dura salita che abbia mai fatto: da Lienz alla Karlsbaderhutte (2.242 m) in Austria. Da Lienz sono 1.600 m di dislivello, in appena 12 km al 13%, di cui quasi la metà sterrati. All’epoca lavoravo per Tutto Mountain Bike e pedalavo tutti i week end, per cui salivo gagliardo anche se la parte alta era innevata; oggi credo che non riuscirei a fare quella salita neanche con la ebike. Foto Stefano Casati.

Poi ci sono quelli che pensano che sia un sistema per fare più km a parità di sforzo, o per superare pendenze proibitive con la sola forza muscolare. Ci sono quelli che hanno perso la forma e che ci vedono un modo per affrontare salite che non sono più alla loro portata. Ci sono quelli che vogliono andare al lavoro tutti i giorni in bici senza arrivare fradici di sudore.

E poi ci sono quelli che non accettano la pedalata assistita per il semplice motivo che inquina la purezza della bicicletta: da oggetto leggero, semplice e meccanico diventa una cosa pesante, complicata, con un motore che si può rompere, con batterie che si scaricano e che vanno ricaricate.

foto di mario ciaccia nello Utah in America in sella alla sua mtb

Nel 1998, Tutto Mountain Bike mi manda in Utah a provare le GT iDrive, che mi sconvolgono, per quanto vanno bene, almeno quanto oggi mi sconvolgono le ebike. Ma il sistema ammortizzato iDrive, che spezzetta il telaio in tre parti, non prenderà piede e rimarrà solo una caratteristica della GT.

Onestamente, se avessi una bacchetta magica, come ciclista vorrei essere un John Tomac che non invecchia mai: lui era il mio idolo perché in salita andava come un treno e in discesa era spettacolare. Vorrei avere le sue capacità fisiche e tecniche sganciandole dalla finalità agonistica, ma legandole alla mia passione per i paesaggi e la fotografia.

Quando sono entrato nella redazione di Tutto MountainBike, fin da subito mi hanno inviato a seguire le gare di qualunque tipo, compresi i mondiali e la Coppa del mondo. È stato un periodo fantastico, durato sette anni, durante i quali ho girato il mondo per seguire le gare.

Ma la cosa mi ha portato anche a disamorarmi dell’agonismo. All’inizio ci vedevo tanta poesia e l’esaltazione dei più elevati valori umani, ma poi, frequentando continuamente quell’ambiente, è subentrata la sensazione che l’agonismo in realtà ti chiudesse la mente: una vita di sacrifici finalizzata ad essere il migliore di tutti in un’attività che spesso si riduceva a ripetere ossessivamente gli stessi percorsi, perdendo di vista tante cose belle.

Alla fine conclusi che mi affascinavano di più i viaggi. Del resto, non ho mai inteso il ciclismo come uno sport per avere un fisico migliore. Ho sempre pedalato perché lo consideravo il modo più affascinante di viaggiare, asfalto o single-track che fosse.

Non mi sono mai allenato tanto per allenarmi, non sono mai stato un bravo ciclista né in salita né in discesa, ma riuscivo a fare i percorsi che volevo. Con questa mentalità è molto più facile accettare l’utilizzo di un attrezzo che ti rende la vita più facile, come la pedalata assistita.

Però credo che la maggior parte delle persone abbia una mentalità più agonista che contemplativa… e me ne sono accorto quando ho avuto i miei figli.

La nascita dei figli ha comportato il crollo delle gite verticali a favore di quelle orizzontali. Per verticale intendo la gita con tanto dislivello in salita; per orizzontale la traversata delle pianure da un paese all’altro.

Io, che da ciclista verticale disprezzavo e ignoravo le piste ciclabili, una volta diventato fruitore di seggiolini e carretti portabimbi ne sono diventato un assiduo frequentatore, scoprendone di molto belle come quelle del Trentino-Alto Adige.

foto di ciclisti suòlla pista ciclabile di Lienz in Austria

Con i figli scopro le piste ciclabili, con i loro pro e contro: di negativo c’è la foga con cui molti le percorrono. Spesso sono sovraffollate, con gente che si odia peggio che in auto. Ed è pieno di ebike! In foto la San Candido – Lienz, una delle più affollate e irritanti che conosca.

In realtà ho scoperto che, oltre alle piste ciclabili, esistono anche i percorsi ciclabili. La differenza è enorme: la pista è un involucro chiuso, un pacchetto tutto compreso, un nastro asfaltato concepito esplicitamente come percorso facile per sole biciclette.

L’orientamento, qui, è facilissimo. Il percorso ciclabile invece mette insieme piste ciclabili e stradine aperte al traffico ma poco trafficate, sia asfaltate sia sterrate.

Personalmente preferisco questi ultimi, specialmente perché riesco a inventarmi gite stupende usando Google Earth, disegnando la traccia al computer e importandola nel Gps.

Ma ho scoperto che sono pochissime le persone che hanno questa vocazione esplorativa. Da quando mi sono trasferito in periferia (da Milano a Cisliano) ho imparato che la campagna milanese è una miniera inesauribile di percorsi ciclabili.

Ci sono scorci con canali, alberi isolati, cascine, aironi che si specchiano nelle risaie da far sembrare impossibile che la metropoli sia distante meno di dieci chilometri in linea d’aria.

Eppure, su questi percorsi non vedo nessuno pedalare. Il ciclista preferisce la pista ciclabile ben definita e segnalata. Non gli importa che sia sempre quella, non considera un problema il doverla rifare avanti e indietro per tutta la vita perché, per lui, la bicicletta è essenzialmente uno sport per allenarsi ad avere un fisico migliore.

Anche se non fa gare, ha comunque una sorta di imposizione morale che lo spinge a pedalare più forte che può, a guardare quanto tempo ci mette, a stressarsi e a imprecare se sulla ciclabile raggiunge una famigliola che lo rallenta.

foto di una famiglia in bicicletta su un percorso ciclabile

Nei percorsi ciclabili non passa nessuno e sono molto più belli delle piste ciclabili. Questo in foto è il “Camminando sull’Acqua” tra Gaggiano e Badile (MI). Una ebike permetterebbe traversate mostruose tra le grandi città della Pianura Padana, sfruttando sterrate lungo i canali come quella in foto.

A Milano esiste un percorso ciclabile molto bello: partenza dalla Darsena, pista ciclabile del Naviglio Grande fino a Gaggiano, percorso ciclabile “Camminando sull’Acqua” fino a Badile e ritorno alla Darsena percorrendo la pista ciclabile del Naviglio Pavese.

Beh, è impressionante notare quanta gente si accalchi sulle due ciclabili dei Navigli, mentre sul percorso “Pedalando sull’Acqua” non passa nessuno, nonostante sia più interessante paesaggisticamente.

Mi viene naturale pensare che, quindi, la maggioranza dei ciclisti voglia solo fare sport e che non sia interessata alle ebike, ma ho notato un aumento di queste ultime persino in ciclabili sovraffollate come la San Candido – Lienz.

foto di mario ciaccia in due momenti della sua vita

A sinistra, sopravvissuto dopo i 70 fangosi km della Speedylonga nel 1994 a Bergamo. Foto Stefano Casati. A destra l’inizio della decadenza, nel 97 mi rompo una gamba in moto e la mia forma fisica inizia a crollare. Dolori, ingrassamento… Foto Piero Ciaccia.

Fino ai 30 anni ero in grado di affrontare tappe da 150 km e 2500 metri di dislivello in salita con la bici pesante oltre 40 kg.

Ma poi è iniziata la decadenza. Una gamba rotta in maniera grave, il passaggio lavorativo dalle bici alle moto, la nascita di due bambini, un aumento di peso disastroso di 40 kg.

foto di due ciclisti con bici da corsa.

Nel 2006 compio uno sforzo eroico per tornare ad essere un ciclista dignitoso. Dimagrisco di 22 kg e mi metto a fare salite dolomitiche con una vecchia bici da corsa usurpata al mitico Carlo De Pisis dei primi numeri di Tutto Mountain Bike. Sono felice, ma la nascita del primo figlio mi impedirà di portare avanti il programma.

Oggi ho 50 anni e non riesco ad allenarmi, ma ho ancora la voglia di fare i percorsi di un tempo. Sono già contento se riesco a fare 50 km con 750 metri di dislivello senza schiattare.

Ho un gruppo di amici meraviglioso, sono gli stessi dei giri in moto: ma in salita vanno ancora bene, loro riescono a farli i percorsi che facevo negli anni 90.

Nel 2011 ho organizzato due traversate in bici fuoristrada, la Lecco-Monza e la Urbino-Pesaro, lunghe entrambe 70 km e con 1.500 m di dislivello totale in salita. Sono state due gite fantastiche, ma le abbiamo iniziate alle 9 di mattina e terminate alle 2 di notte perché ero lento.

foto di un ciclista con carrellino al seguito e bimbo sul seggiolino

2008: due anni dopo la nascita del primogenito, i 22 kg sono belli e ripresi e il mio ciclismo è diventato molto utilitario e poco eroico. Altro che vette dolomitiche… Foto Paola Verani.

Poi, nel gennaio 2014, ho proposto di fare il Giro dei Quattro Passi sulle Dolomiti dormendo in tenda. Ho cercato di caricare la bici il meno possibile, ma era inverno pieno a 2000 metri, ho dovuto portare attrezzature contro il freddo, compreso un sacco a pelo da due chili: alla fine mi sono ritrovato con una bici da 36 kg e uno zaino da 6 kg sulla schiena e sono scoppiato prima ancora di raggiungere il primo dei quattro valichi.

Abbiamo dormito a bordo strada, poi la gita è stata ridimensionata al solo Passo Sella.

Mio fratello, che era presente, è stato spietato ma giusto: “Pesi 116 kg e non ti alleni mai, cosa pretendevi di fare?”.

foto di un biker sulla neve con la sua mtb

La gita in cui ho capito che il mio futuro era elettrico: gennaio 2014, il tentativo di fare il Giro dei Quattro Passi sulle Dolomiti fallisce sul Sella perché io non ne ho più. E rovino la gita agli altri. Foto Piero Ciaccia.

In un forum di talebani contro le ebike ho letto una frase che sembrava dedicata a me: “Se avessi 50 anni e la pancia appenderei la bici al chiodo, altro che e-bike” ma ho pensato: “Questo tizio la pensa così perché ha 20 anni e non sa che a 50 anni con la pancia ci arriverà anche lui, ma con la voglia di fare di un ventenne”.

È stato in quel periodo che gli amici hanno cominciato a dire che, con l’ebike, sarei riuscito a fare quelle gite, a stare con loro, a divertirmi come un tempo. Il tarlo mi è entrato nel cervello.

Una parte di me diceva: prendere la ebike significa essere sconfitto su tutta la linea. Significa accettare che non tornerò mai più quello di prima. Ma è normale: se invecchi, ingrassi e non ti alleni perché hai cambiato stile di vita è inutile sperare di tornare quello di un tempo.

E siccome non ho mai pedalato per la performance o per avere un super fisico, posso filosoficamente accettare di avere un aiuto per tornare a provare le sensazioni di un tempo, ovvero arrivare in posti meravigliosi pedalando.

foto di un gruppo di biker di notte

La storica notte in cui mi hanno “violentato” noleggiandomi a sorpresa una ebike, nel giugno 2016, sul Monte Bolettone sopra Como. Foto Luca Nagini.

Ma il tempo passava e io non davo retta agli amici che mi dicevano di affittare una ebike, tanto per provare. Piuttosto, mi sono messo a organizzare gite in cui buona parte dei dislivelli in salita venissero coperti da funivie o furgoni.

Allora, lo scorso giugno, gli amici mi hanno invitato a mangiare una pizza a Como e, a sorpresa, mi hanno messo sotto il naso una Haibike sDuro HardSeven da 27.5” con motore Yamaha, che avevano preso in affitto a mia insaputa, per farmela provare.

Siamo saliti sul Monte Bolettone in notturna ed è stato pazzesco, perché effettivamente la e-mtb è un’esperienza da provare. Pedali senza fatica chiacchierando su pendenze anche notevoli. Hai tutto il piacere della pedalata rilassante, ma fai dislivelli.

Era un giro di prova, ho impostato il massimo livello di potenza, non ho fatto fatica per un solo minuto. Non me lo aspettavo. Da parecchi anni mi domandavo che sensazioni avrei provato con un’e-bike e non pensavo che si riuscissero a fare salite ripide senza fare assolutamente fatica. Dopo 400 m di dislivello in salita, però, avevo già fatto fuori metà batteria.

Sono tornato a casa un po’ confuso. Mi era piaciuto fare il gesto della pedalata in salita senza faticare, ma non era proprio quello che volevo. Mi era sembrato di fare una cosa divertente, né bici né moto, una cosa a sé, priva delle soddisfazioni della bici.

Nel luglio del 2016 ho organizzato un giro sugli Appennini: salita al rifugio Duca degli Abruzzi in riva al Lago Scaffaiolo, pernottamento, il giorno dopo traversata fino alla Croce Arcana.

Poco dislivello e pochi chilometri, ma paesaggi intensi. I miei amici pensavano che avrei noleggiato una e-bike, ma mi presentai con la solita full e spiegai loro che avevo concepito questo giro in modo che fosse alla mia portata con una bici 100% a propulsione umana, proprio perché volevo provare le sensazioni della bicicletta. La gita andò bene ma, ormai, il tarlo mi era entrato.

foto di alcuni ciclisti su una salita

Luglio 2016, l’ultima gita in montagna a propulsione umana. Qui sto imitando Froome quando, in maglia gialla, proseguì a piedi dopo che aveva rotto la bicicletta sul Mont Ventoux. Foto Carlo Acquistapace.

Fino a quel momento pensavo che la bicicletta ideale, per me, fosse una 29″ full da xc marathon con il reggisella regolabile a comando remoto. Adesso sognavo ancora lo stesso tipo di bicicletta, ma con motore Yamaha e guarnitura doppia.

Per un colpo di fortuna pazzesco, nel marzo del 2017 un amico di Lugano mi ha detto che stava vendendo esattamente una e-mtb marathon da 29” con motore Yamaha e reggisella telescopico a comando remoto. Me la vendeva a 1.500 euro con la formula: ci facciamo insieme una gita da 1.000 m di dislivello, se ti piace la compri.

Però questa volta ho cambiato approccio. A giugno, sul Bolettone di notte, avevo messo il motore alla massima potenza e provato l’ebbrezza di fare le salite senza fatica. Lì per lì m’ero divertito, ma non mi era rimasto niente. Una volta in cima non avevo provato “la gioia dello scalatore”.

Questa volta ho pensato di usare l’aiuto del motore elettrico il meno possibile, per provare sensazioni da ciclista e per far durare la batteria a lungo. Così ho fatto l’intera salita in modalità Eco nei tratti scorrevoli e in modalità Standard in quelli più ripidi. Non ho mai impostato il livello massimo.

In questo modo facevo fatica e mi sembrava di pedalare senza motore, solo che avevo una Vam nettamente superiore a quella cui sono abituato. La sensazione non era di avere un motore, ma di essere un Mario Ciaccia più magro e più allenato. Questo sì che mi piace.

foto di un biker che ammira il paesaggio dalla vetta

Piove, nevica, grandina, ma io sto godendo come non godevo da anni. Qui sono sopra Lugano. Lunga vita alla mia ebike! Foto Alberto Castelli.

Arrivato in cima ero felice, provavo la stessa sensazione di felicità e di pace con me stesso di una volta; amavo quella bicicletta, mi veniva voglia di accarezzarla… l’ho comprata e adesso è a casa mia. Per fare mille metri di dislivello ho fatto fuori sette tacche su dieci di batteria. Da guidare è strana: è stabilissima e poco maneggevole, ma io sono uno che ama fare fuoristrada sia con le monocilindriche leggere, sia con la Honda Africa Twin che mi piace perché è lunga e incede in maniera solenne. La ebike da 29” me la ricorda molto!

Nelle salite tecniche ha tantissima inerzia che può dare fastidio quando mi trovo a dare un colpo di pedale per salire su un gradino oltre il quale c’è qualcosa che mi costringe a sterzare subito dopo: il motore spinge e rende più faticosa questa sterzata. Ma è questione di prenderci la mano.

Attualmente sono in preda ad una nuova ventata di entusiasmo ciclistico. Sto ordinando su internet qualsiasi cosa, dai distanziali per poter applicare la borsa da manubrio in presenza del display Yamaha al portapacchi posteriore, dalla batteria supplementare alla cover in neoprene per tenerla calda d’inverno.

Ho in mente traversate in fuoristrada tipo la Passo del Gries- Duomo di Milano, la Modane-Tignes via Trois Valles, un Pedalentreffen invernale “bici + tenda” che metta insieme l’Altopiano di Asiago, la Kaiserjagerstrasse e la ciclabile della Val Sugana.

foto di un manubrio di una bici elettrica con strumenti di viaggio

Il manubrio leggermente affollato della mia ebike attuale. Da notare la batteria aggiuntiva nella borsa da telaio sul tubo orizzontale.

Ho già comprato una batteria aggiuntiva da mettere sul tubo orizzontale, dietro lo sterzo, per passare da 400 Wh a 780 Wh e sperare, così, di poter fare almeno 2000 m di dislivello. In futuro arriverà la nuova generazione di batterie a celle piccole, da 900 Wh e spero che ne faranno la versione da applicare al mio “vecchio” Yamaha PW.

Oppure arriveranno quelle ancora migliori di John Goodenough. Alcune cose so che non potrò farle: il mio idolo ciclistico è l’amico Danilka Livieri che, con una fat bike Surly Moonlander, ogni inverno si spara impressionanti traversate alpine con la tenda legata sulla bici.

Quest’anno, approfittando del fatto che la neve era poca e dura, in pochi giorni Livieri s’è sciroppato una sfilza di passi chiusi per neve come il San Bernardino, lo Spluga, la Forcola di Livigno e persino il Gavia.

Ma per me è troppo: i dislivelli, i tratti a spinta, il freddo che attacca le batterie, la tenda che non permette di ricaricarle… Nella nostra casa editrice, la Edisport, viene editata anche la versione italiana di Cyclist, una bella rivista inglese che mi piace molto perché tratta le bici da corsa strada approcciate con occhio turistico, cosa strana in un Paese come il nostro, dove siamo tutti smanettoni e abbiamo solo le gare in testa.

Ogni mese recensiscono una o più salite asfaltate e ogni volta è un tuffo al cuore, perché negli anni 90 collezionavo salite e adesso non ci riesco più. Ma, grazie alla mia nuova mtb elettrica, queste salite potrebbero tornare ad essere fattibili.

foto di una ebike con borse da viaggio

Praticamente, adesso vado più in ebike che in moto. Per esempio, giorni fa dovevo andare da casa mia (Cisliano) alla Scala e poi in redazione a Pero e poi a casa: totale 48 km, ho deciso di farli in bici. La differenza enorme con la moto è che in bici si passa per posti molto più fighi: piste ciclabili molto belle e che manco conoscevo (come la Fiera Vecchia -Fiera Nuova), parchi, parchetti… Il giorno dopo invece dovevo andare da Cisliano a San Siro, poi a Pero, poi a Città Studi e poi da lì a Cisliano: 69 km. Anche questi fatti in bici senza fare fatica.

Ovviamente mi viene da pensare anche ad alcune questioni etiche: ogni decennio che passa ci abituiamo sempre di più agli “agi del progresso”. Tanto per fare un paragone, da motociclista amante delle “enduro totali”, capaci di andare ovunque, sono sconcertato dal constatare che quel tipo di motociclista che trovava normale andare in autostrada, per 500 km di fila, con un monocilindrico da 600 cc oggi non esiste più.

I suoi discendenti vogliono le 1200 cc da 150 CV, a costo di rinunciare al fuoristrada o ridimensionarlo parecchio, perché sono terrorizzati dall’idea di fare qualche ora in autostrada con una moto da 45 CV che vibra un po’.

Sono sicuro che le ebike ci porteranno a questo tipo di “decadenza”. Potrebbero nascere intere generazioni di ciclisti che non sanno cosa sia una crisi di fame e come gestirla.

Penso che sia giusto ed educativo trovarsi senza forze su una salita con una bici a propulsione umana: è quel genere di esperienza che ti forma.

Il mio figlio più piccolo, a soli sei anni, chiede una ebike. Se gliela comprassi (ma esistono e-mtb da 20”? Ne ho viste al minimo da 24”) allargherei il raggio delle gite che ci facciamo sulle ciclabili. Potrebbe già fare la Lecco-Vaprio-Milano a sei anni. Ma non voglio.

Deve trovarsi ad affrontare uno Stelvio sotto la pioggia con le sue forze, prima di concedersi agli “agi sibariti” della pedalata assistita.

Testo di Mario Ciaccia

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